Lettera pastorale

Cari fratelli e sorelle, la Visita Pastorale è alle porte! È un dono della divina Provvidenza, un evento di grazia e una espressione della Chiesa, perciò desideriamo viverla nella docilità dello Spirito. Prepariamoci fin d’ora con la concordia nella preghiera e la disponibilità sincera a metterci in ascolto di quanto il Signore vorrà dire alla nostra Chiesa di Nardò-Gallipoli, per la quale ha dato la sua vita “per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a sé stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5, 26-27).

L’immagine del Buon Pastore, che fu consegnata da Mons. Domenico Caliandro nella sua Visita, ha guidato i nostri passi in questi anni e continuerà ad accompagnare il nostro cammino, desiderosi di diffondere ovunque il buon profumo della carità.
Ho già chiesto ad alcuni confratelli di camminare con me: a don Luca Albanese e a don Piero De Santis come Convisitatori, a don Tommaso Sabato, nel servizio di Segretario della Visita, insieme ai Direttori degli Uffici Pastorali. Ora chiedo a tutti voi carissimi Parroci e a tutti voi, fratelli e sorelle nella fede in Gesù, di condividere la fatica e la gioia di questo percorso. A tutti, sin da ora, la mia riconoscenza sincera e la gratitudine del cuore per la generosità con la quale continuate a servire il Signore e la Chiesa.
Avrò dunque la gioia di incontrarvi più direttamente e per un tempo più prolungato, nella speranza di poter ravvivare il vostro entusiasmo e la sollecitudine verso i fratelli, in vista di un rinnovamento spirituale e di un’azione apostolica più efficace. Con la mia venuta intendo confermare e sostenere la vostra fede, la testimonianza e il quotidiano impegno di ciascuno di voi nel portare ovunque il Vangelo della gioia.
Scrivendo ai cristiani di Corinto, San Paolo li rassicurava con queste parole: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24). Anch’io intendo mettermi a servizio della vostra gioia, come la Madonna si è messa a servizio della gioia degli sposi di Cana, e come Papa Francesco ha voluto mettersi a servizio della nostra gioia donandoci i suoi testi magisteriali: Evangelii gaudium, Amoris laetitia, Laudato Si’, Gaudete et exultate, Christus vivit.
Vengo a offrire a voi, pur nella consapevolezza della mia povertà e della mia debolezza, il segno e il sostegno visibile della presenza di Gesù, per continuare a credere che è possibile vivere e testimoniare la gioia vera, quella che proviene dall’amore fedele di Dio, effuso costantemente nei nostri cuori fin dal giorno del nostro Battesimo, quando siamo diventati figli nel Figlio, membra del suo Corpo Mistico.

1. Il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia

Gesù ha manifestato questa sua volontà nel Cenacolo, durante l’Ultima Cena con gli apostoli: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11) e “Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16, 20.22).
Gesù desidera che i suoi amici siano nella gioia, e vuole che anche noi la sperimentiamo, quale frutto maturo del nostro dimorare in Lui e la condividiamo con tutti coloro che con noi camminano sui sentieri della storia, verso il compimento del Regno. Per questo ci incoraggia di nuovo a rimanere nel suo amore, ad osservare i suoi comandamenti, per gustare la pienezza della gioia che solo Lui può dare.
La Visita Pastorale sarà un’occasione propizia per verificare la nostra relazione con il Signore, quanto l’amicizia con Lui costituisca davvero il cuore del nostro essere cristiani, nella convinzione che “all’inizio dell’essere cristiani non c’è una convinzione etica, una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI, Deus charitas est, 1).
È proprio vero che la nostra fede nasce e cresce grazie alla consapevolezza e all’esperienza dell’amore di Dio, in forza della comunione con Lui, sorgente della vera libertà, in virtù dell’ascolto obbediente della sua Parola, lampada sul nostro cammino.
La relazione con Gesù, inoltre, è garanzia della buona qualità delle relazioni tra di noi, con quanti operano nelle comunità parrocchiali e con tutti gli uomini di buona volontà.
Proviamo a riflettere sulla nostra azione pastorale, per verificare se tutte le attività che organizziamo nelle comunità e il cammino delle nostre associazioni, movimenti e gruppi, tendono a favorire l’incontro personale con Gesù, a sostenere l’amicizia con Lui, a vivere la “misura alta della vita cristiana”, a promuovere la comunione, ad abilitare alla missione.
Emblematico in merito è l’episodio dei discepoli di Emmaus, i quali, privati della relazione con Gesù, perdono la speranza, vivono e camminano disorientati, sotto il peso della tristezza; la svolta però avviene nel momento in cui accolgono la compagnia di Gesù: lo riconoscono, ascoltano le sue parole, comprendono il mistero della sua Persona. Allora il loro cuore torna ad essere abitato dalla gioia, e la fuga dalla comunità si trasforma in un ritorno gioioso, sollecitati dalla premura di raccontare quanto hanno vissuto, segno di una gioia ritrovata e di una speranza rinata. L’incontro con il risorto porta effetti benefici alla persona e all’intero gruppo degli apostoli, che si ricompatta di nuovo.
Sant’Agostino, nell’omelia di una Veglia Pasquale ai catecumeni, che si accostano per la prima volta all’Eucaristia, spiega in modo chiaro il senso della relazione che si viene a creare tra Gesù e la comunità: “Quel pane che voi vedete, sull’altare, santificato mediante la parola di Dio, è il corpo di Cristo. Quel calice, anzi ciò che quel calice contiene, santificato mediante la parola di Dio, è il sangue di Cristo. Per mezzo di tali [segni] Cristo Signore ha voluto affidarci il suo corpo e il suo sangue, che ha effuso per noi in remissione dei peccati. Se li avete ricevuti bene, voi siete ciò che avete ricevuto” (Serm. CCXXVII in die Pash.).
Mi piace sognare questa dinamica nelle nostre comunità pienamente realizzata.
Il dono dell’Eucaristia è il culmine dell’opera redentrice di Dio. In essa il Padre ci dà tutto: ci dà Gesù nel mistero della sua Pasqua, nel momento supremo della sua santità, della sua offerta per la salvezza dell’umanità. Nulla è più grande di questo. Dobbiamo recuperare il senso di questo dono, che racchiude tutto il bene della Chiesa: nel segno sacramentale del pane e del vino c’è Gesù. È il cuore del nostro rapporto con Dio: formiamo con Gesù un corpo solo, e la nostra vita si apre alla sua sequela sulla strada del Vangelo. L’Eucaristia dovrebbe essere il centro attorno al quale cresce la Chiesa: nata dal Battesimo, essa cresce nella comunione come corpo di Cristo, ad immagine di Lui, sempre più configurata a Lui.
In preparazione alla Visita confrontiamoci sinceramente all’interno delle nostre comunità sulla cura della Domenica, “il giorno centrale della comunità cristiana” (cfr. San Giovanni Paolo II, Dies Domini), giorno della gioia, giorno in cui Gesù risorto incontra i suoi discepoli e li fa passare dalla paura che li paralizza alla gioia che ridà slancio al cuore e speranza alla vita.
Per poter sperimentare la gioia dobbiamo vincere le nostre solitudini ed ottusità. Mentre i mezzi di comunicazione creano isolamento, noi cristiani, attraverso il banchetto eucaristico promuoviamo la gioia fraterna, la comunione e la festa. Perché questo possa avvenire è necessario invitare nelle nostre comunità il Signore, come gli sposi a Cana.

2. “Non hanno più vino”

L’icona evangelica delle nozze di Cana (Gv 2,1-11), brano scelto come cornice di tutta la Visita Pastorale, vede Gesù al centro: Lui dà significato, profezia e splendore a quanti sono riuniti nel suo Nome e manifesta quell’amore più grande che moltiplica la gioia.
La mancanza di vino allude al vuoto di amore e di valori che sta mettendo in pericolo la convivenza delle persone e delle stesse società. Questo rischio riguarda anche noi: quante volte le relazioni fraterne e l’autentica vita spirituale sono state compromesse dal virus dell’individualismo e del secolarismo!
Tutti desideriamo essere felici, vivere sereni, soddisfatti della vita che conduciamo, sperimentare l’unificazione del cuore, la realizzazione dei sogni, la nostra vocazione, e invece registriamo il fallimento, la delusione, la tristezza. Le condizioni di vita e la cultura di questo nostro tempo ci portano a dubitare circa la possibilità di uscire da questa situazione di precarietà e di disagio esistenziale. Papa Francesco ha scritto con chiarezza: “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG 1).
Gli sposi di Cana rischiavano di sperimentare il fallimento, ma anche noi rischiamo di farci sopraffare dalla stanchezza e dall’accidia, di lasciare svanire quelle forti motivazioni che spingono a crescere e a collaborare al bene della comunità, perdendo di vista la meta della vita: la santità.
Se la gioia di vivere e di essere cristiani vacilla, si deteriora ed è incapace di alimentarsi e di diffondersi, vuol dire che non ha radici nel cuore del Signore. Se nelle nostre comunità le relazioni diventano formali, si allentano o si scompongono, appaiono poco credibili, non rendono visibile la bellezza della Chiesa, non sono più radicate sulla salda roccia del Vangelo. Se la carità vera finisce e lascia il posto all’indifferenza, all’invidia, alla mormorazione – e questo può accadere nelle famiglie come nelle comunità parrocchiali – vuol dire che non stiamo più assecondando l’opera della grazia, che la vita liturgica non è vissuta in “spirito e verità”, che il seme della Parola non ha trovato in noi un terreno accogliente, e che il cuore si sta indurendo perché incapace di amare.
“La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Così il libro degli Atti descrive la vita della chiesa nascente, e questo dovrebbe essere l’ideale delle nostre comunità.
Spero tanto che la Visita Pastorale diventi un’occasione per ravvivare la comunione, perché tutte le nostre parrocchie possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa ed attraente. Facciamo riecheggiare nel nostro cuore le parole di Gesù e diamo compimento al suo desiderio e alla sua preghiera: “tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
I lavori delle commissioni, svolti in un clima di preghiera, di riflessione e di dialogo, dovrebbero servire per approfondire ulteriormente i legami di comunione all’interno di ogni parrocchia e di ogni forania, in vista della missione evangelizzatrice, nella convinzione che la comunione è già un annuncio credibile del Vangelo. La comunione all’interno delle comunità, e di queste tra loro, dovrebbe poi estendersi al territorio, raggiungendo i lontani e promuovendo il dialogo con quanti appartengono ad altre confessioni religiose, agli atei e a tutti gli uomini di buona volontà.
Oltre alla comunione, la Visita vuole rafforzare l’identità cristiana tramite l’annuncio della Parola di Dio e la celebrazione dei Sacramenti, e ravvivare la coscienza della vocazione propria di discepoli di Gesù Cristo. Vivere in questo lembo di terra che è il Salento dovrebbe essere sentito sempre di più come un privilegio connesso con una missione particolare. È interesse di tutti noi che le nostre chiese, ricche di storia e di arte, non diventino un museo pieno di monumenti e pietre preziose, ma che continuino ad essere segni di una Chiesa, costruita con pietre vive (cfr. 1Pt 2,5), di uomini che da secoli continuano la presenza dei discepoli di Gesù Cristo nel mondo. Pur registrando un calo numerico, tanto da vederci quasi una minoranza, abbiamo tuttavia una vocazione unica e insostituibile: essere testimoni del Signore Gesù nel nostro territorio, ricco di religiosità popolare e di tradizioni, bisognose di essere continuamente evangelizzate e vissute nel solco dell’autentica Tradizione della Chiesa.
La Visita Pastorale offre una felice occasione per presentare la bellezza e la ricchezza della vita cristiana, per sostenere sia spiritualmente che materialmente i tanti fratelli e sorelle che vivono in situazioni difficili a causa della povertà di beni e soprattutto di amore.
Intensifichiamo la preghiera, perché con l’aiuto di Dio la Visita sia veramente un’occasione per rafforzare i vincoli di fede, speranza e carità, e per continuare a vivere l’esodo “da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria” (EG 16).
Dobbiamo vigilare perché l’individualismo e l’isolamento, il relativismo pratico che induce ad agire come se Dio non esistesse, l’accidia egoista, il pessimismo sterile, la mondanità spirituale, la resistenza al rinnovamento e la conflittualità tra di noi, non compromettano la gioia del Vangelo e non vanifichino l’impegno a vivere il dono di essere “un cuore e un’anima sola”. Se ci saranno momenti di prova e di scoraggiamento, che ci permetteranno di sperimentare che le scorte di “vino” stanno per esaurirsi, non dubitiamo dell’aiuto dello Sposo divino.
Ci consola sapere che nei nostri paesi c’è tanta devozione alla Madonna, la Madre di Gesù, che è presente, attenta e discreta. Vede il nostro disagio e sempre intercede a nostro favore, perché il miracolo continui a compiersi e il vino della gioia sia sempre abbondante.
Le nostre famiglie e le nostre parrocchie hanno un immenso bisogno di gioia, frutto maturo della vera carità. Non possiamo restare indifferenti.
Gesù, come a Cana, con squisita umanità, ci incoraggia ad essere a servizio della speranza per tanti nuclei familiari, portando a tutti il lieto annuncio dell’amore fedele del Padre che fa nuove tutte le cose e rende sempre possibile il miracolo della pienezza della gioia. A tal fine chiediamoci: quanta cura stiamo prestando alla pastorale battesimale e familiare? Stiamo assecondando l’opera dello Spirito per ravvivare la nostra creatività pastorale? Il nucleo fondamentale di ogni esperienza che proponiamo è veramente “la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (EG 36)?
La gioia del Vangelo è propria di chi, avendo trovato il vero tesoro, che è il Signore e il suo amore per noi, diventa capace di ricollocare tutti gli altri beni in una scala giusta di valori e sa discernere in relazione alla perla preziosa che ha scoperto.
La Visita Pastorale vuole essere un incoraggiamento a desiderare e cercare ciò che conta veramente; Colui che riempiendo la nostra povera esistenza la rende traboccante di carità per tutti, in modo particolare per gli ultimi, i più poveri, quanti bussano alle porte delle nostre case e dei nostri cuori. Non dimentichiamo che nelle ferite dell’umanità si rivela in modo unico la gloria del Dio vivente. Pertanto, viviamo la prossimità evangelica, dedichiamoci senza misura di tempo all’incontro con le persone, accogliamole con simpatia e senza alcuna distinzione o pregiudizio, ascoltiamole con attenzione e chiediamoci cosa stiamo facendo per promuovere la pedagogia della carità e l’uso evangelico delle risorse economiche e delle strutture parrocchiali.
Quanto la testimonianza cristiana delle nostre comunità sta incidendo sulla vita del territorio, sulla situazione sociale e culturale, sull’accoglienza dei forestieri, sulla presa in carico delle molteplici forme di disagio? Interroghiamoci, ma non da soli, e valutiamo quanto siano valorizzati gli organismi di comunione, di partecipazione, le commissioni pastorali, le caritas parrocchiali, cittadine e foraniali. Non vogliamo denunciare le inadempienze degli altri, ma reagire, proporre, costruire, cogliere in ogni situazione storica l’interpellanza della volontà di Dio, il suo invito a riempire le giare fino all’orlo, a rispondere con fedeltà e fiducia, a rinnovare la mentalità e i metodi pastorali.
Incoraggio le singole comunità a rafforzare l’unità e la comunione con le strutture della Diocesi, risvegliando la coscienza della nostra appartenenza ad essa e, attraverso di essa, alla Chiesa universale, respingendo ogni tendenza alla chiusura autoreferenziale, che preferisce il rinchiudersi in sacrestia e il restare all’ombra del proprio campanile.
Le commissioni pastorali, istituite in ogni parrocchia, saranno il luogo idoneo per un cammino sinodale e per dare un volto ed un nuovo ardore missionario alle nostre parrocchie.

3. Con la gioia del Vangelo

L’esortazione del Papa Evangelii gaudium ci guiderà nel cammino intrapreso. Accogliamo con disponibilità sincera la voce del successore di Pietro che ci chiede di essere Chiesa estroversa e solidale, che sa stare nel mondo in modo evangelico.
Le nostre parrocchie, proprio perché radicate nel territorio e immerse tra la gente sono chiamate ad essere, ogni giorno di più, il luogo idoneo per l’annuncio e la trasmissione della gioia del vangelo. Affinché ciò si possa realizzare è necessario ed urgente camminare insieme, lasciandosi portare dalla forza dello Spirito, facendo nostra la parola dell’apostolo Paolo: “Guai a me se non annuncio il Vangelo” (1 Cor 9,16).
Tutti noi battezzati, in quanto redenti e collaboratori della redenzione, siamo profondamente coinvolti nell’opera di evangelizzazione e di salvezza. Siamo discepoli-missionari (EG 120). Anche il più povero in mezzo a noi, grazie al Battesimo, vero lavacro di rinnovamento e di rigenerazione (cfr. Tt 3,5), ha a sua disposizione il dono prezioso del Vangelo che trasforma la sua esistenza personale e, attraverso la sua testimonianza, trasforma il tessuto sociale.
Una vera “pastorale” all’interno della Chiesa diocesana è innanzitutto servire tutti i fratelli, è far sì che la grazia di Dio operi oggi, raggiunga ogni persona. È già scoccata l’ora della missione, ridestiamo in noi la consapevolezza di essere il popolo di Dio in cammino: “la Chiesa è… ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni necessaria espressione istituzionale” (EG 111).
Siamo Popolo di Dio, l’alleanza con il Signore esige che sviluppiamo una cultura dell’incontro: “diventare un popolo… richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia” (EG 220). Inoltre è anche doveroso riconoscere noi “stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG 273) e considerare gli altri come oggetto dell’infinita tenerezza del Signore, creature sacre degne di tutta la nostra cura e del nostro affetto (cfr. EG 274).
Come Dio, nell’Incarnazione del Figlio, si è decentrato e si è svuotato di sé per venire verso di noi e assumerci in Lui, così noi dobbiamo essere “Chiesa in uscita”, per promulgare nel tempo il mistero dell’Incarnazione nella storia.
La Visita Pastorale incoraggerà le nostre parrocchie a essere comunità aperte e comunicative; a usciere da sé stesse nella prospettiva della compassione, pronte ad evitare relazioni formali o troppo istituzionali per promuovere la vera fraternità, frutto della passione, morte e risurrezione di Gesù.
L’Evangelii gaudium dunque ci provoca e ci interroga. Quale volto di Chiesa manifestiamo?
“Il mondo in cui viviamo e che siamo chiamati ad amare e a servire, anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti i suoi ambiti della sua missione” (cfr. Discorso di Papa Francesco pronunciato il 17 ottobre 2015, in occasione del cinquantesimo dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi da parte di Paolo VI).
La sinodalità allora diventa l’espressione di una Chiesa in missione, estroversa, protesa con amore al bene dell’umanità, desiderosa di portare a tutti la forza generativa del Vangelo. Essa si concretizza nel camminare insieme di tutto il popolo di Dio, un camminare che avviene dentro la storia degli uomini, in comunione con il Cristo vivente e in ascolto dello Spirito Santo. Grazie all’azione dello Spirito abbiamo la capacità di comprendere ciò che è giusto, ciò che è bene per noi in questo momento storico, ciò che corrisponde alla volontà di Dio per la salvezza del mondo. A noi il compito di assecondare la sua opera nel discernimento, grazie al quale siamo portati a vivere alla presenza di Dio, per vedere tutto alla sua luce e giungere al riconoscimento umile e grato della sua santa volontà, qui e ora.
La Visita Pastorale sarà occasione propizia per compiere l’opera del discernimento e assumerla come stile.
Mi auguro che nelle nostre comunità si pensi, si decida e si agisca sempre insieme, secondo il cuore di Cristo, illuminati dallo Spirito. “Una Chiesa sinodale – dice Papa Francesco nel discorso già citato – è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare è più che sentire. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare […]. L’uno in ascolto degli altri e tutti in ascolto dello Spirito Santo”. (cfr. Discorso di Papa Francesco in occasione del cinquantesimo dell’istituzione del Sinodo).
Qui si qualifica il ruolo di noi presbiteri e l’opera del nostro ministero, come vero e proprio ministero della sintesi e non come azione di comando. Siamo i “necessari collaboratori dell’ordine episcopale” (PO 7) ed espressione e voce dell’intero popolo di Dio. Per questo motivo si continui a promuovere e a valorizzare i Consigli Pastorali Parrocchiali e si dia avvio alla costituzione al lavoro delle commissioni. Non riesco ad immaginare un cammino di Chiesa senza l’ascolto reciproco, vissuto con fede, e il confronto costante nella carità.
Nei giorni che sarò tra voi avrò l’opportunità di condividere la gioia della comunione nella corresponsabilità pastorale e di porre il sigillo all’opera del discernimento autenticamente ecclesiale, consegnando, al termine della Visita, un progetto pastorale per tutta la Chiesa diocesana. Ringrazio tutti coloro che si uniranno al nostro lavoro e chiedo a ciascuno di dare il proprio contributo con franchezza e generosità.
Portare ai cuori degli uomini e delle donne di oggi il Vangelo della gioia che salva e consola è la missione che il Cristo ci affida. Camminare insieme come popolo di Dio è il modo in cui mostrare al mondo i frutti della grazia.
Ci conceda il Signore di farlo, con gioia ed umiltà.
Nell’attesa di poter rivedere i vostri volti e di condividere la festa dell’incontro, vi saluto e chiedo al Signore di benedirvi.
Pregate per me!

Nardò, 15 agosto 2019
Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

+ Fernando Filograna
vescovo