Giovani e vocazione

1. Recuperare linguaggi

La ricerca della propria vocazione si scontra, nel contesto odierno, con una spiccata autoreferenzialità nei processi decisionali ed esistenziali: se accelerano ansia da prestazione e corsa alla carriera professionale, sfuma una concezione più progettuale della vita, meno efficientista e forse antiquata, che, partendo dalla scoperta graduale e faticosa di sé, si compie nella relazione con il mondo e il mistero di Dio. Il desiderio del “chi voglio essere” gareggia con il limite del “chi sono davvero” e con le continue ingerenze del “chi devi essere” secondo la società del consumo: non sempre educati all’intreccio di queste prospettive, esiliate dal dialogo con la fede, i ragazzi e i giovani rispondono frequentemente alle domande decisive della vita con una preventiva “chiusura di sicurezza” o una “prospettiva narcisista” che di vocazionale ha molto poco.

La pastorale giovanile degli ultimi anni ha sofferto l’urto di questi cambiamenti sociali: i giovani spesso non trovando risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite (cfr. EG 105) si sono allontanati dalla Chiesa e dal mondo adulto e vivono da soli i passaggi esistenziali decisivi. La pastorale vocazionale, dal canto suo, dimostrando parzialità nel presentare la bellezza della vocazione universale alla santità, ha perso il contatto con quei giovani che, pur guardando al futuro con Dio, non condividevano affatto la scelta preferenziale della vita religiosa o del ministero ordinato.

La vera questione giovanile è, allora, il bisogno urgente di recuperare un linguaggio che parli loro “alla vita” e “della vita”: riscoprendo la propria chiamata battesimale come un’occasione possibile, concreta e su misura, di realizzazione umana e di felicità duratura; abitando spazi di libertà e di protagonismo, di incontro tra pari e di confronto con adulti credibili, in vista dell’educazione al discernimento del proprio vissuto (cfr. EG 106) che guardi al limite e alle potenzialità di ciascuno nella prospettiva cristiana del compimento umano.

2. Formare accompagnatori

«La giovinezza, come fase dello sviluppo della personalità, è marcata da sogni che vanno prendendo corpo, da relazioni che acquistano sempre più consistenza ed equilibrio, da tentativi e sperimentazioni, da scelte che costruiscono gradualmente un progetto di vita. In questa stagione della vita i giovani sono chiamati a proiettarsi in avanti senza tagliare le radici, a costruire autonomia, ma non in solitudine. Il contesto sociale, economico, culturale, non sempre offre condizioni favorevoli» (Documento finale del Sinodo dei Vescovi “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, 65). La Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti a loro tutte le volte che sia necessario (cfr. EG 169). Da qui si intuisce l’urgenza di formare educatori e animatori vocazionali alla genuina “arte dell’accompagnamento”, perché imparando a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro, comprendano ciò che direttamente o indirettamente il giovane chiede e a volte urla: sostegno nelle scelte inquiete, aiuto nella lettura del vissuto, speranza nella costruzione del futuro. Occorre recuperare la sapienza del camminare accanto ai giovani con prudenza, comprensione, pazienza, docilità allo Spirito e custodia (cfr. EG 171). La pastorale vocazionale e quella giovanile necessitano quindi di cantieri di formazione all’ascolto, attraverso cui far maturare agli accompagnatori, ai pastori e ai genitori, quella capacità del cuore, che rende possibile la prossimità e l’incontro spirituale, con uno sguardo rispettoso, pieno di compassione, che sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana (cfr. EG 169) e nella coraggiosa scelta del proprio percorso di vita.

3. Illuminare percorsi

Lo smarrimento esistenziale ha le sue radici nella mancanza di fiducia e di speranza che le nuove generazioni, monche della trasmissione valoriale degli adulti e deluse dalle scelte delle Istituzioni tradizionali, gridano a più livelli e nei vari contesti di vita: il mondo della scuola, quello lavorativo e familiare, l’esperienza politica e sociale, la vita associativa ed ecclesiale. Ma più di tutto preoccupa la crisi di fede in atto, frutto del processo di secolarizzazione che sta confinando Dio sempre più al di là del necessario e del quotidiano, relegando la conoscenza e l’esperienza del Signore ad una tappa formativa, di passaggio, che si conclude, per tanti ragazzi,con un giudizio feroce di distanza. Molti giovani hanno perso l’entusiasmo davanti ad una proposta di fede poco chiara, spesso solo dottrinale e moralistica: se non infiamma il vissuto e le scelte con l’annuncio attuale della gioia e della libertà evangelica, il cristianesimo dei linguaggi antichi o dei metodi artefatti perde di attrattiva nei confronti della stessa persona di Gesù. Occorre promuovere una pastorale giovanile e vocazionale che aiuti a recuperare uno sguardo contemplativo sul vissuto: uno sguardo di fede che scopra nel Dio che abita le case, le strade, le piazze, la vita (cfr. EG 71) l’amico di cui fidarsi e innamorarsi, da ascoltare e a cui rivolgersi per vivere bene. Le Comunità dovrebbero tornare ad annunciare con essenziale semplicità la fedele presenza di Dio, che accompagna la ricerca sincera di chi cammina per trovare appoggio e senso alla propria esistenza, educando alla preghiera e alla liturgia in modo nuovo, più vicino alla vita quotidiana. Serve un’evangelizzazione che, più che enfatizzare la forma e gli eventi straordinari, torni ad illuminare i nuovi modi di relazionarsi personalmente con Dio, con gli altri e con l’ambiente, suscitando i valori fondamentali (cfr. EG 74) e i grandi ideali da cui partire per affrontare l’inquietudine e abbracciare scelte di vita decisive e feconde.

4. Proporre traguardi

Dobbiamo riconoscere che la vita dei giovani è sempre propulsore di speranza e occasione per aprirsi con stupore al futuro dell’umanità e della Chiesa (cfr. EG 108). Nonostante il contesto spinga alla diffidenza e alla liquidità dei legami, sono ancora molti i giovani che scommettono sul prossimo, maturando scelte di amore sincero e relazioni coinvolgenti: attraverso l’aiuto solidale nel tessuto della famiglia e delle amicizie, nelle varie forme di militanza e volontariato (cfr. EG 106) dell’ambito urbano ed ecclesiale.

Molte famiglie consacrano sacramentalmente il loro amore, aprendosi, non senza fatica, al dono dei figli, risultando spesso “fuori moda” e poco orientate al successo lavorativo di ciascuno. I gruppi di servizio caritativo e le iniziative missionarie entusiasmano e provocano ancora: dove c’è vita, fervore, voglia di portare Cristo agli altri sorgono vocazioni genuine, che scuotono dall’egoismo e fanno della molla della carità l’occasione per interrogarsi sul proprio cammino di donazione. Anche laddove la fragilità della testimonianza presbiterale e la scarsità di vocazioni risultano deterrenti alla chiamata vocazionale, la vita fraterna e fervorosa della Comunità e dei suoi santi pastori risveglia il desiderio di consacrarsi interamente a Dio nella scelta della vita sacerdotale, religiosa, missionaria.

Le Comunità dovrebbero ritrovare perciò il coraggio di proporre occasioni forti di discernimento e percorsi di preghiera per la propria vocazione, la conoscenza di testimoni credibili e la frequentazione amicale delle realtà vocazionali, caritative e missionarie. Accanto a questo la pastorale vocazionale non può non sognare spazi nuovi ed entusiasmanti di annuncio del Vangelo dell’Eccomi, assieme a percorsi di accompagnamento e discernimento specifici ed esigenti, che valutino limiti e potenzialità della storia dei candidati al ministero (cfr. EG 107). La pastorale giovanile invece può tornare a dialogare in rete con le realtà non ecclesiali, che attraverso l’arte, lo sport, la cura dell’ambiente, l’impegno sociale e politico, il dialogo interreligioso curano la formazione delle nuove generazioni, come occasioni di annuncio universale della chiamata al Regno di Dio.

5. Custodire sogni

Laddove i giovani e i ragazzi manifestano grandi prospettive ed ideali di vita chiari e coraggiosi, la Comunità ecclesiale ha il dovere di custodire il loro percorso di ricerca vocazionale, a qualunque età e in qualunque contesto maturi. Occorre riconquistare l’assoluto educativo della piena realizzazione di sé secondo l’immagine di Dio, stimolando il senso critico necessario al discernimento, libero da pregiudizi o condizionamenti di sorta.

Nell’infanzia e nella prima adolescenza la scuola e la catechesi giocano un ruolo fondamentale: è ancora possibile insegnare l’oblatività come stile di vita quotidiano, la carità sincera e gratuita nel contesto del gruppo classe e con i coetanei, incontrando magari adulti significativi e rimandando all’esemplarità della vita di Cristo. Nel tempo della adolescenza e della prima giovinezza, invece, è auspicabile ripartire dai percorsi scolastici di orientamento universitario e lavorativo, permettendo, laddove fosse utile, relazioni di accompagnamento spirituale e di discernimento del vissuto. Nelle famiglie, dove accade frequentemente che per varie paure si piloti l’accesso ai percorsi vocazionali dei figli, è urgente ritrovare spazi ordinari di ascolto sincero e fiducioso: occorre motivare, incoraggiare e accompagnare la ricerca del loro progetto di vita, allenando la libertà e la stima nelle proprie qualità, evitando giudizi o restrizioni, che potrebbero spegnere il desiderio della vocazione e generare maggiore insicurezza sul futuro.

L’incertezza economica, la separazione affettiva, la paura dell’immaturità e dell’errore sono poi da tempo i grandi deterrenti della scommessa vocazionale, a cui raramente si è stati preparati: è ruolo degli educatori sostenere le famiglie nel loro primario compito educativo. Una certa ritrosia degli operatori vocazionali ha velato nei fatti la bellezza della chiamata al dono di sè, semplificando il ventaglio delle prospettive possibili a scelte di comodo o di sicurezza economica: chi sentiva sovente nel cuore la chiamata a illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare gli altri già in tenera età, troppo spesso non ha trovato chi lo potesse incoraggiare nella risposta. Alcuni però, dopo le esperienze di studio o di lavoro dell’età adulta, grazie all’apporto di sacerdoti e consiglieri spirituali, hanno trovato comunque l’audacia di intraprendere con gioia i percorsi di discernimento vocazionale, riconoscendo così di esistere e di doversi concepire nel mondo come una missione con gli altri e per la vita degli altri (cfr. EG 273).


Icona biblica: I DISCEPOLI DI EMMAUS – Lc 24,13-35

Quattro tappe per rileggere un testo ben noto, che fa parte del materiale proprio del Vangelo di Luca. È un brano che si presta a molteplici letture. Noi svolgiamo il testo in quattro momenti:

  • una lettura esistenziale;
  • “la predica della delusione” fatta dai due discepoli;
  • i segni che vengono dati per uscire dalla delusione;
  • la metodologia del Risorto che si avvicina ai due di Emmaus.

Una lettura esistenziale

Gesù, anzitutto, come abbiamo visto, raggiunge due dei suoi discepoli proprio lì dove si trovano, cioè in cammino. È il cammino della routine quotidiana, è un giorno come un altro, una strada come un’altra, il normale pendolarismo che prende milioni, miliardi di esseri umani. Ancora un’altra delusione. E tutto accade nella assoluta ferialità.

Gesù si presenta come un qualsiasi altro viandante.

Il Risorto si mostra ma non viene riconosciuto. Nei racconti delle apparizioni, il Risorto appare ai suoi nella più banale ferialità, o non è riconosciuto o è scambiato per qualcun altro.

La predica della delusione

I due discepoli, chiunque essi siano, hanno il volto segnato da una forte disillusione (“noi speravamo”, v.21). I due di Emmaus non solo si raccontino quanto accaduto, nella loro disillusione si rafforzano reciprocamente con le loro idee. È un meccanismo a cui siamo abituati, sopratutto in alcune situazioni comunitarie quando si inizia a lamentarsi e si innesca quel fenomeno ricorsivo che caratterizza anche la Chiesa: continuiamo a lamentarci e ci rafforziamo reciprocamente nelle nostre omelie di lamentazioni.

I segni dati per uscire dalla delusione

Il primo, la tomba vuota: ne hanno conoscenza, ne hanno contezza e ne parlano, sono andati alla tomba ma il cadavere non c’era.

Il secondo segno che viene fornito è quello degli angeli. Hanno una funzione ermeneutica, sono gli angeli interpreti.

Nel cammino di discepolato servono esegeti capaci di spiegare e dare un senso a quello che è accaduto, in particolare alle delusioni più grandi, alle croci più dolorose, servono angeli che diano un’altra lettura, che raccontino un’altra storia.

La metodologia del Risorto

Ed ecco l’ultimo punto che descrive la metodologia del Risorto a Emmaus e la storia che questi racconta. È  necessario l’incontro personale con Gesù, con la sua Parola per uscire dal circuito della crisi. Ecco allora il percorso a tappe che Luca descrive con tanta ricchezza di dettagli e di particolari.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI PER L’APPROFONDIMENTO

1. Recuperare linguaggi

2. Formare accompagnatori

3. Illuminare percorsi

4. Proporre traguardi

5. Custodire sogni