Evangelizzazione

Introduzione

La proposta dell’Ufficio catechistico punta a leggere, all’interno delle commissioni di studio parrocchiali, l’Evangelii gaudium di papa Francesco, attraverso cinque tracce e alcune provocazioni tratte dal racconto evangelico del paralitico portato a Gesù da quattro amici; tali riflessioni vogliono aiutare a delineare i tratti di una Chiesa che è capace di “accompagnare” e “accogliere” attraverso una spinta missionaria, missione che impegna anche l’evangelizzazione e la catechesi.

Infatti il modello che Papa Francesco ci offre, si inserisce nella tradizione del movimento catechistico riequilibrando aspetti recenti solo preoccupati della crisi della trasmissione della dottrina e rimettendo al centro il compito della formazione dei battezzati perché siano aiutati ad essere discepoli, cioè missionari (EG 28).

1. Evangelii Gaudium 27: no ad un cristianesimo dell’obbligo e dell’abitudine! 

Lasciandoci ispirare dal testo dell’Esortazione apostolica, come operatori impegnati nella pastorale, non possiamo non considerare il momento presente. Viviamo in un tempo nel quale le persone, immerse in un pluralismo culturale e religioso, saranno chiamate a scegliere se essere cristiani o meno.

Di conseguenza la Chiesa se cederà alla tentazione di rimanere fissata su ciò che le sta dietro, cioè a vivere di nostalgia sarà trasformata ben presto, come la moglie di Lot, in una statua di sale (Gn 19,26).

La direzione giusta è invece quella di una pastorale della proposta, di una comunità che nel suo insieme, in tutte le sue espressioni e dimensioni, si fa testimone del Vangelo dentro e non contro il proprio contesto culturale. Usciamo dal cristianesimo dell’abitudine e dell’obbligo, (in particolare nei percorsi di iniziazione cristiana e di preparazione ai sacramenti) andiamo verso un’adesione alla fede segnata da libertà e gratuità.

“Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perchè le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia”. (Evangelii Gaudium 27).

2. Evangelii gaudium 164: annuncia il Kerygma per fare centro!  

Tutte le proposte di fede in atto nelle nostre comunità devono avere come finalità quella di lasciare impresso l’annuncio del Kerygma. Vale la pena riprendere una espressione di Giovanni Paolo II, che in occasione di un convegno sul Catechismo della Chiesa Cattolica diceva che nel contesto culturale attuale la catechesi è chiamata a trasmettere “non omnia, sed totum”, non tutte le conoscenze relative alla fede, ma il cuore del messaggio evangelico, il kerygma. Concretamente nella nostra azione di catechesi siamo sollecitati ad annunciare la bella notizia della Pasqua del Signore dentro ogni esistenza umana.

Il rinnovamento dell’evangelizzazione richiede la conversione dei singoli credenti affinchè tutto il corpo della Chiesa, in ogni sua espressione parli del Vangelo, e le parole siano visibili nella forma di vita di ciascuno.

“Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti” (Evangelii gaudium, 164).

3. Evangelii gaudium 169: farsi compagni sulla terra sacra dell’altro!

Chi si fa compagno del cammino di fede del prossimo sa riconoscere che la situazione di ogni fratello davanti a Dio, la sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall’esterno. Il Papa invita così ad “essere pazienti e comprensivi con gli altri”, capaci “di trovare modi di risvegliarne in loro la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere”. Per questo la fisionomia del catechista si caratterizza per essere testimone, educatore e accompagnatore. Si tratta di vivere una formazione che incoraggia, che produce un’azione gioiosa, generosa, audace e contagiosa. Nel contatto con le famiglie ricordiamo che ogni persona è adatta al vangelo a partire dalla situazione nella quale si trova, è amata da Dio a prescindere. L’annuncio nella catechesi deve puntare sulla speranza intesa quasi come una scomessa di Dio su ognuno.

 “In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana”. (Evangelii gaudium 169)

4. Evangelii gaudium 259: evangelizzare con Spirito!  

Nel nostro percorso di formazione come catechisti dobbiamo imparare a lasciarci sorprendere, essere cioè capaci di stupore per ciò che Dio opera in noi e nella storia, capaci di andare al di là del già detto per accogliere le meraviglie di Dio. La catechesi si colloca nello spazio non del dovere, non della necessità, ma della grazia, della gratitudine, della gratuità. Tutto questo ci rende liberi dai risultati, perché sappiamo che lo Spirito sa come aprirsi una strada nel cuore delle persone. A noi basta restare concentrati sulla gioia di quanto ci è stato donato, una gioia contagiosa che non possiamo che comunicare agli altri.

In questo momento di riflessione e verifica chiediamoci se anche per noi che operiamo nella catechesi in Parrocchia la duplice motivazione dell’annuncio del Vangelo è pienamente compresa e vissuta: la gioia di quanto ci è stato donato gratuitamente e che non possiamo tenere solo per noi e la carità di servire la comunità ecclesiale.

“Evangelizzatori con Spirito, evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua. Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l’annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio”. (Evangelii gaudium 259)

5. Evangelii gaudium 91-92-262: catechisti in una Chiesa madre che genera alla fede!

Sempre più nei nostri contesti pastorali anziché la gioia di annunciare il Vangelo, si avverte la fatica e lo scoraggiamento. A tal proposito il Papa invita a non scoraggiarsi, di fronte ai fallimenti o agli scarsi risultati, perché la “fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata”; dobbiamo sapere “soltanto che il dono di noi stessi è necessario”.

Noi catechisti siamo chiamati ad entrare nella vita delle persone, ad abitarla con passione e speranza, questa è la più alta attività cristiana che possiamo mettere in atto ma non come espressione del nostro individualismo. Il magistero della Chiesa ci ricorda un principio fondamentale: la missione è conseguenza della comunione ecclesiale, e non viceversa. Molti dei nostri tentativi di evangelizzazione falliscono in origine perché dimenticano questo principio. Una comunità viva è già espressione di annuncio, in quanto mostra il volto di Cristo. Ma la comunità non è un’idea, è concretamente chi ogni giorno ho accanto nel servizio e nella comunione, per questo è un percorso a cui tendere, non un dato di partenza.

Tutto deve passare dal  reciproco perdono, dalla condivisione della Parola e dell’Eucaristia.

Nel settembre 2013 Papa Francesco, riprendendo le parole di San Francesco d’Assisi ha rivolto ai catechisti queste parole: “Annunciate sempre il Vangelo, se necessario anche con le parole: chiediamoci sempre se la parola più profonda e vera da noi pronunciata è quella della nostra presenza che vuole custodire l’altro nella fede in Gesù e nella speranza.”

“Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta con il volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà.” (Papa Francesco – discorso Firenze 2015)

 


Icona biblica: LA GUARIGIONE DEL PARALITICO – Lc 5,17-26

Ancora una volta il Vangelo ci viene in aiuto per definire in maniera semplice ed efficace che cosa sia la Chiesa. Il testo biblico di riferimento è il racconto del paralitico presente nel Vangelo di Marco. L’idea viene proprio da papa Francesco il quale in diverse occasioni ha definito la Chiesa come un “ospedale da campo”.

La Chiesa/comunità che evangelizza è da interpretare alla luce del racconto come lo stare insieme di quattro amici che con una ostinazione creativa trovano il modo di caricarsi di peso un malato e di portarlo da Gesù, in questo senso la pastorale parrocchiale deve porsi alcuni obiettivi e inventare iniziative nuove per raggiungere ogni uomo che, anche senza accorgersene, cerca il Signore e la felicità. La malattia, anche in questo caso, non è semplicemente un impedimento fisico.

Quest’uomo in tutto l’episodio narrato non parla, non chiede, non prega, non fa la sua professione di fede. Eppure è lui il fulcro di tutta la narrazione. È il centro dell’attenzione degli amici. È il centro del gesto di perdono di Gesù. È il centro della disputa con chi pensa che Gesù non possa perdonare i peccati e per questo diventa il centro della guarigione fisica che lo fa tornare a casa con le sue gambe. Se la Chiesa esiste, esiste per essere “sacramento visibile di salvezza”, che in termini semplici significa che se esiste serve fondamentalmente a salvare la vita delle persone.

E può salvare la vita delle persone non perché ne sia capace in sè stessa ma nella misura in cui riesce a condurre anche in maniera straordinariamente creativa le persone a Gesù: “Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico”. Questo è il fondamento evangelico di ogni azione pastorale, anche la più originale o spericolata. Perché la pastorale non è opera di marketing, ma tentativo di far arrivare a chi ha bisogno l’esperienza della misericordia: “Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati»”.